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La vera pelle può essere sostenibile ?

La vera pelle può essere sostenibile?

Tutti pazzi per la sostenibilità. Nella corsa dei top brand del Lusso all’utilizzo e allo sviluppo di materiali similpelle e fibre innovative a colpi di sigle come “Veg”, “Eco”, “Bio” e “Cruelty Free”, la pelle intesa come materia prima sembra aver trovato dei concorrenti agguerriti. A questo proposito il Presidente dell’Unione Nazionale Italiana Conciatori, Fabrizio Nuti, ha dichiarato durante l’ultima assemblea annuale dell’associazione: « […] la richiesta di nuove e sempre più valide pretese di sostenibilità da parte della moda o del design finisce per alimentare un marketing spregiudicato e gonfiare una spropositata attenzione mediatica. Il riferimento è a tutti i materiali “innovativi, bio-based che continuano ad affacciarsi sul mercato ponendosi in aperta concorrenza con la pelle». 

 

Pelle sì, pelle no?

La risposta non può essere univoca perché dobbiamo considerare tutto il suo ciclo vitale: dall’approvvigionamento della materia prima fino al prodotto finito. Inoltre, influiscono altri parametri come l’impatto che l’industria ha sui lavoratori della filiera produttiva sui consumatori, la cosiddetta sostenibilità aziendale. Questi standard qualitativi, inoltre, variano da paese a paese e, per esempio, le regolamentazioni europee in materia di industria e mercato sono ben diverse da quelle adottate in Cina, India e Bangladesh, tanto per citare i grandi produttori globali. Secondo una ricerca del market advisor Mordor Intelligence, il mercato della pelle registrerà un tasso di crescita annua del 6 per cento da qui al 2025. Segno che, contraddizioni a parte, la pelle sarà difficilmente rimpiazzata dai materiali alternativi. 

Sfatiamo qualche luogo comune

Ciò che si intende come pelle - materia prima, a differenza della credenza comune, non deriva dalla lavorazione della pelle di animali uccisi per questo scopo. La quasi totalità della pelle utilizzata nei settori manifatturieri della moda, infatti, è un sottoprodotto della macellazione perlopiù di bovini, ovini e caprini. Se la pelle non venisse conciata dovrebbe essere smaltita in altri modi, probabilmente più impattanti, dopo che la carne degli animali è stata lavorata per la macellazione. L’industria del cuoio funziona quindi in maniera direttamente proporzionale ai fabbisogni dell’industria alimentare: più è alta la richiesta di carne e latte, più si producono scarti di pellame da recuperare per le industrie conciarie. Inoltre, la qualità della pelle è strettamente collegata al benessere dell’animale e questo non collima con le pratiche degli allevamenti intensivi, una delle criticità più controverse per la sostenibilità ambientale. 

 

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